Perché così spesso ci sentiamo in ansia? E che stiamo fallendo in tutto, soprattutto sulla scuola? Sono sentimenti, purtroppo, molto diffusi tra i giovanissimi (noi compresi). A te è mai capitato? Se la risposta è sì, sei nel posto giusto. Infatti per capire di più sull’argomento abbiamo intervistato le psicologhe del Consultorio Antera di Roma, una realtà nata da un’équipe di professionisti esperti in psicologia e psicoterapia, convinti che questi strumenti siano utili a preservare la cosiddetta “normalità” ed a promuovere lo sviluppo sia individuale che collettivo. “Chiedere aiuto non è una vergogna o sintomo di fragilità. Quanto piuttosto iniziare ad accettare che nella vita tutti noi possiamo vivere situazioni in cui è utile chiedere aiuto“. Ecco le nostre domande.
Domanda: A febbraio una ragazza di 19 anni si è tolta la vita in Università. “La mia vita è un fallimento”, ha scritto: questo fatto ha colpito tutt* noi!
Risposta: Quello che è successo ci deve far riflettere su un tema importante, ovvero come affrontare il fallimento. Il fallimento viene visto come un qualcosa da evitare a tutti i costi perché non vi è possibilità di rimedio, invece dovrebbe essere utilizzato come un’esperienza di apprendimento. Siamo immersi sempre più in una realtà basata sulla performance, sull’apparenza, sulla perfezione che non lascia spazio all’errore.
L’errore viene visto negativamente come un’esperienza dolorosa da evitare a tutti i costi e ciò porta a sperimentarsi in ciò che si conosce per evitare strade in cui si potrebbe fallire oppure ad isolarsi e disinvestire. Ci si confronta sempre di più con la vita degli altri, vista come perfetta ed ideale e ciò incrementa il senso di inadeguatezza, d’inferiorità, perché si ha paura di non essere mai abbastanza.
Domanda: In base alla vostra esperienza, di chi è “la colpa”?
Risposta: Non si tratta di trovare un colpevole piuttosto è importante chiedersi. “Perché oggi si affronta la scuola/università con questa ansia da prestazione?”, “Perché l’errore genera così tanta vergogna?”. I fattori sono molti e principalmente prevale una forte pressione esterna (società, famiglia, scuola, social) a dimostrare, a fare sempre di più, ad essere sempre migliori degli altri. Questo genera aspettative elevatissime, a cui non sempre si è in grado di rispondere.
È necessario promuovere una “cultura dell’errore” che aiuti ragazze e ragazzi a crescere in modo più sano, traendo anche dall’errore gli insegnamenti e che aiuti gli adulti a non pressarli e a non fare al posto loro pur di evitare una frustrazione.
Come chiedere aiuto (sì, anche se sei minorenne)
Domanda: Qual è il compito dei genitori e quale quello degli insegnanti?
Risposta: il compito dei genitori dovrebbe essere quello di fornire una cornice affettiva che possa favorire l’espressione delle emozioni e la condivisione dei vissuti dei ragazzi in un clima di fiducia, che non faccia sentire il peso del giudizio sull’intera persona laddove ci sia un insuccesso scolastico, che dovrebbe – invece – essere valutato esclusivamente come unica prestazione. Esplorare metodi di studio più idonei o la possibilità di intraprendere altre strade potrebbero consentire di sperimentare il “fallimento” come esperienza di apprendimento e di esplorazione di nuove possibilità.
Gli insegnanti, in quest’ottica, dovrebbero contribuire a far vivere il voto come un evento non stigmatizzante all’interno di un percorso che tenda, invece, ad evidenziare i progressi e le potenzialità de*** alliev*.
Domenda: Come possono chiedere aiuto le ragazze e i ragazzi che si trovano in difficoltà?
Risposta: I ragazzi/e che si trovano in difficoltà dovrebbero poter chiedere aiuto ai genitori, insegnanti e altri adulti di riferimento (es: allenatori etc.) con i quali sentono di poter condividere uno spazio di dialogo. Inoltre, in molti istituti scolastici sono già presenti gli sportelli d’ascolto che forniscono supporto e accoglienza per poter esprimere dubbi, disagi e difficoltà. Tale servizio è a disposizione anche dei genitori.
Inoltre, nei Consultori presso le Asl (Azienda Sanitaria Locale), è attivo uno Spazio giovani di ascolto e consulenza dedicato alle ragazze e ai ragazzi dai 14 ai 24 anni. È ad accesso libero, senza prescrizione medica o consenso dei genitori, gratuito e con garanzia di riservatezza. Questa tipologia di presidio sul territorio, così come gli altri servizi menzionati, si muove in un’ottica di prevenzione del disagio e di valorizzazione delle competenze personali e relazionali.
Perché ci sentiamo in ansia? Cosa si può fare?
Domanda: Qual è la percentuale di adolescenti che si rivolgono a voi e di cosa hanno bisogno?
Risposta: Il nostro centro accoglie pazienti abbracciando tutto l’arco di vita, non si occupa in modo specifico dell’adolescenza, ma nonostante questo c’è stato un discreto aumento delle richieste provenienti da questa fascia di età, soprattutto dopo la pandemia. Nel 2022 la percentuale di minori nella fascia 11-18 è arrivata a toccare il 7%, inoltre sono aumentate notevolmente le richieste nella fascia 19-22, momento molto delicato del passaggio alla vita di giovani adulti.
I bisogni con cui arrivano sono spesso “sfumati” e non ben definiti, rispecchiando la liquidità dentro cui sono immersi, con incertezze, dubbi profondi e riferimenti adulti poco solidi. Sembrano prevalere vissuti di impotenza, ansia, sensazioni di vuoto e umore depresso, che a volte si esprimono con chiusura verso l’esterno, altre si traducono in comportamenti esplosivi e rabbiosi.
Domanda: E quali sono le problematiche maggiormente riscontrate?
Risposta: Chi arriva da noi mostra spesso problematiche legate alla regolazione emotiva e all’ansia (attacchi di panico o pensieri ossessivi). Le difficoltà scolastiche sono nella stragrande maggioranza ciò che porta i genitori a chiedere aiuto, anche se un dato positivo è che più frequentemente sono le ragazze e i ragazzi stessi ad esplicitare una richiesta di aiuto. mostrando una loro maggiore apertura a mostrare le fragilità, questo va sottolineato come loro grande punto di forza.
Spesso l’umore è depresso e questo non si mostra solo con tipici comportamenti di chiusura o gesti autolesivi (come il cutting, tagliando la superficie della propria pelle), ma può
portare anche a stati di agitazione, irrequietezza, fino a esplosioni di rabbia e comportamenti oppositivi. Queste difficoltà emotive possono a volte portare anche alla dipendenza da sostanze. Ciò che spesso ci colpisce è la diffusa sensazione di vuoto che li accompagna, poter accedere ed essere accolti all’interno di un percorso terapeutico può essere uno strumento fondamentale.
È doveroso sottolineare come la riuscita del percorso non può prescindere dalla collaborazione con i genitori, mantenendo sicuramente uno spazio riservato per i ragazzi con confini chiari. ma sostenendo allo stesso tempo, magari con un percorso parallelo, le figure genitoriali.
Esattamente, non bisogna avere alcun timore a chiedere aiuto. Come ha fatto, ad esempio, Alessia Lanza (qui il suo racconto).